17 gennaio 2018

L'ultima legione

Siamo nel 476 d.C.  La legione “Nova Invicta”, ultimo baluardo della romanità, viene travolta da un'orda di barbari che semina morte e distruzione. Solo pochi legionari sopravvivono al massacro.
A loro si aggiunge Livia, giovane guerriera dal coraggio indomito e dalle capacità inesauribili.
La storia affida al piccolo gruppo una missione apparentemente disperata: difendere - anche a costo della propria vita -  il giovanissimo Romolo Augusto, ultimo imperatore romano d'Occidente, unitamente al suo misterioso precettore  Meridius Ambrosinus.
È un romanzo dal ritmo incalzante e pieno di colpi di scena, L'ultima legione di Valerio Massimo Manfredi; ma ciò che più avvince è l’atmosfera di fine epoca, venata di nostalgia per una romanità ormai al crepuscolo.


 

«Questo posto è abbandonato da anni, qui cade tutto a pezzi» gli fece eco Vatreno. Batiato saggiò la stabilità di una scala che portava al camminamento di ronda e l’intera struttura rovinò al suolo con fragore.
Ambrosinus sembrava smarrito, quasi sopraffatto da quella desolazione.
«Ma davvero ti aspettavi di trovare qualcuno in questo posto?» lo incalzò Aurelio. «Io non ci posso credere. Guarda laggiù il Grande Vallo: non c’è un’insegna romana su quel muro da più di settant’anni, come potevi sperare che potesse sopravvivere un piccolo baluardo come questo? Guarda tu stesso. Non ci sono segni di distruzione, o di resistenza armata. Se ne sono semplicemente andati, chissà da quanto tempo.»
Ambrosinus si portò verso il centro del campo. «So che tutto sembra privo di senso, ma credetemi: il fuoco non si è spento, dobbiamo soltanto rianimarlo e la fiamma della libertà riprenderà a divampare.» Ma nessuno sembrava ascoltarlo. Scuotevano il capo sgomenti, in quel silenzio irreale rotto soltanto dal lieve sibilo del vento, dal cigolare delle imposte nelle baracche rose dal tempo e dalle intemperie. Incurante di quell’atmosfera di scoramento, Ambrosinus si avvicinò a quello che doveva essere il pretorio, la residenza del comandante, e scomparve all’interno.
«Dove va?» chiese Livia.
Aurelio si strinse nelle spalle.
«E adesso che facciamo?» domandò Batiato. «Abbiamo percorso duemila miglia per nulla, se ho capito bene.»
Romolo, appartato in un angolo, sembrava chiuso nei suoi pensieri, e Livia non osò nemmeno andargli vicino. Indovinava il suo stato d’animo e soffriva per lui.
«Visto come stanno le cose, sarà bene considerare con realismo la situazione» cominciò a dire Vatreno.
«Realismo? Non c’è niente di realistico qui. Guardati intorno, per tutti gli dèi!» sbottò Demetrio.Ma non aveva finito di parlare che la porta del pretorio si aprì e riapparve Ambrosinus. In brusio cessò, gli sguardi si concentrarono sulla figura ieratica che emergeva dall’oscurità impugnando un oggetto strabiliante: un drago dalla testa d’argento, a fauci spalancate, e dalla coda di porpora, issato su un’asta dalla quale un labaro con la scritta
LEGIO XII DRACO
«Mio Dio» mormorò Livia. Romolo fissò l’insegna., la coda ricamata in scaglie dorate che si muoveva come animata, improvvisamente, da un soffio vitale. Ambrosinus si avvicinò ad Aurelio e gli piantò in faccia due occhi di fuoco. Il suo volto era trasfigurato, i suoi lineamenti tesi e induriti, come scolpiti nella pietra. Gli porse l’insegna dicendo: «È tua, comandante. La legione è ricostituite».
Aurelio esitò, immobile davanti a quella figura esile, quasi macilenta, a quello sguardo d’imperio un cui ardeva un fuoco misterioso e indomabile. Poi, mentre il vento rinforzava sollevando una nube di polvere che tutto avvolgeva, tese la mano e afferrò l’impugnatura dell’asta.
«E ore va’» comandò Ambrosinus. «Piantala sulla torre più alta.
Aurelio si guardò intorno, guardò i compagni immobili e muti, poi si incamminò lentamente, salì sul ballatoio e piantò l’insegna sulla torre occidentale, la più alta. La coda del drago si divincolò sotto la sferza del vento, la bocca metallica fece udire un suono acuto, il sibilo che tante volte aveva terrorizzato il nemico in battaglia. Guardò in basso: i compagni erano schierati uno a fianco dell’altro, irrigiditi nel saluto militare. E gli occhi gli si riempirono di lacrime.

 

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