27 settembre 2016

Non posso vivere in bianco e nero

Quest'estate, sotto l'ombrellone, ho letto un interessante romanzo dello psicanalista americano Irvin D. Yalom: Le lacrime di Nietzsche.
L'autore immagina l'incontro fra due personaggi realmente esistiti all'epoca: Breuer (il medico austriaco che per primo sperimentò gli strumenti dell'ipnosi, trasmettendoli poi al giovane amico e collega Sigmund Freud) e Nietzsche (il filosofo tedesco che qui viene descritto come uomo austero, testardo, intelligentissimo, tormentato da tremende emicranie e da ancor più feroci travagli interiori).
I due uomini percorrono insieme un itinerario alla scoperta di sé stessi, ciascuno aiutato dall'altro.
Intorno a loro, altri personaggi giocano il proprio ruolo e mettono a nudo nervi scoperti: la scrittrice (e futura psicanalista) d'origine russa Lou Salomé, l'ancora acerbo Sigmund Freud, la perfida sorella di Nietzsche, la giovane scrittrice tedesca Berta Pappenheim...
Un romanzo veramente ben scritto, che pagina dopo pagina lascia affiorare - spesso con dolore - gli interrogativi di sempre.



Breuer inspirò profondamente, sentendosi meno agitato, e si sedette. «La vita senza Bertha?... Che cos'altro?... Io sono uno scienziato, ma la scienza non ha colore. Dentro la scienza bisogna soltanto lavorare, non cercare di vivere... Io ho bisogno di incanto... e di passione... senza incanto non si può vivere. Ecco che cosa significa Bertha: passione e incanto. Una vita priva di passione, chi può viverla?» E così detto aprì gli occhi. «Lo potete voi? Chi lo può?»
«Spazzate il camino sulla questione della passione e della vita, per favore» lo pungolò Nietzsche.
«Una delle mie pazienti fa la levatrice» continuò Breuer. «È vecchia, avvizzita, sola. Il suo cuore sta cedendo. Ma ha ancora la passione di vivere. Una volta le ho chiesto qual è la fonte di questa passione. E lei mi ha risposto che è l'attimo intercorrente tra l'atto di sollevare un neonato ancora silenzioso e quello di dargli lo schiaffo vitale. Ha detto che lei si rinnova tramite l'immersione in questo istante di mistero, in questo istante che sta a cavalcioni tra esistenza e oblio».
«E voi, Josef?»
«Io sono come quella levatrice! Voglio essere vicino al mistero. La mia passione per Bertha non è naturale, lo so, è soprannaturale, ma io ho bisogno di incanto. Non posso vivere in bianco e nero».

13 settembre 2016

Elena - Il modesto scopo per cui era stata creata



Un altro romanzo storico che è riuscito ad appassionarmi: Elena - La madre dell´Imperatore di Evelyn A. Waugh (BUR Rizzoli, 2002).
La protagonista è appunto Elena, madre dell’imperatore Costantino: donna appassionata e concreta, matura nel tempo un ardente desiderio di ritrovare la Santa Croce.
Vi offro qualche breve stralcio di questa bella storia.
Nell'immagine: Piero della Francesca - "La leggenda della vera croce" (Arezzo, Basilica di san Francesco).


E poi Elena disse qualcosa che pareva non c'entrasse affatto. «Dov'è la croce, comunque?» «Che croce, mia cara?» «L'unica. Quella vera.» «Non so. Non credo che nessuno lo sappia. Non credo che nessuno ne abbia mai chiesto prima» «Deve trovarsi da qualche parte. Il legno non si scioglie mica come la neve. Non ha nemmeno trecento anni. I templi qui sono pieni di travi e rivestimenti di legno vecchi il doppio. Ovviamente Dio avrà avuto più cura della croce che di quelli» «Niente è "ovvio" con Dio. Se avesse voluto farcela avere senza dubbio ce l'avrebbe data. Ma ha preferito non farlo. Ci dà già abbastanza» «Ma come fate a sapere che non vuole che noi l'abbiamo - la croce, intendo? Scommetto che aspetta soltanto che uno di noi la vada a trovare - proprio in questo momento che ce n'è tanto bisogno. Proprio in questo momento, in cui tutti se la scordano e cianciano dell'unione ipostatica, c'è un robusto pezzo di legno che non vede l'ora di potergli sbattere sulla zucca, a quegli stupidi. Io lo vado a cercare» disse Elena. [...]

Elena, seduta sul suo piccolo trono, guardava e pregava. Due giorni prima della fine apparve chiaro che ormai non c'era più nessun posto in cui si potessero nascondere i grossi pezzi di legno che lei cercava. Ma non si scompose. Quando infine tutto lo stanzone fu sgombro e spazzato e completamente vuoto, Elena restò seduta a pregare. La monaca disse: «Non credete, signora, che forse dovremmo andare a casa?» «Perché? Non abbiamo mica trovato quello che cercavamo» [...] Il direttore dei lavori venne a chiedere il permesso di mandar via gli operai. «Ormai fuori è buio» disse. «Quaggiù non fa nessuna differenza» «Ma signora, che cosa dovrebbero fare qui?» «Cercare»[...]

 
La sua opera era compiuta. Aveva fatto quello che solo i santi riescono a fare; quello che in effetti costituisce la loro patente di santità. Si era conformata pienamente alla volontà di Dio. Altri, pochi anni prima, avevano compiuto gloriosamente il loro dovere nell'arena. Il suo era un compito meno duro, che consisteva semplicemente nel raccogliere legna. Era quello il particolare, modesto scopo, per cui era stata creata. E ora l'aveva adempiuto. Salpò dunque gioiosamente con il suo prezioso carico.