30 marzo 2016

Nella notte ora piena del suo stupore


Fu scritta più di cent’anni fa, quella pagina indimenticabile uscita dalla penna - e dal cuore inquieto - del grande Luigi Pirandello. Eppure è senza tempo, l’emozione che incontriamo in «Ciàula scopre la luna» (dalla raccolta «Novelle per un anno», 1907).


 

[...]   Curvo, quasi toccando con la fronte lo scalino che gli stava di sopra, e su la cui lubricità la lumierina vacillante rifletteva appena un fioco lume sanguigno, egli veniva su, su, su, dal ventre della montagna, senza piacere, anzi pauroso della prossima liberazione. E non vedeva ancora la buca, che lassù lassù si apriva come un occhio chiaro, d'una deliziosa chiarità d'argento.

Se ne accorse solo quando fu agli ultimi scalini. Dapprima, quantunque gli paresse strano, pensò che fossero gli estremi barlumi del giorno. Ma la chiaria cresceva, cresceva sempre più, come se il sole, che egli aveva pur visto tramontare, fosse rispuntato. Possibile?

Restò - appena sbucato all'aperto - sbalordito. Il carico gli cadde dalle spalle. Sollevò un poco le braccia; aprì le mani nere in quella chiarità d'argento.  Grande, placida, come in un fresco luminoso oceano di silenzio, gli stava di faccia la Luna.

Sì, egli sapeva, sapeva che cos'era; ma come tante cose si sanno, a cui non si è dato mai importanza. E che poteva importare a Ciàula, che in cielo ci fosse la Luna? Ora, ora soltanto, così sbucato, di notte, dal ventre della terra, egli la scopriva. Estatico, cadde a sedere sul suo carico, davanti alla buca. Eccola, eccola là, eccola là, la Luna... C'era la Luna! la Luna!

E Ciàula si mise a piangere, senza saperlo, senza volerlo, dal gran conforto, dalla grande dolcezza che sentiva, nell'averla scoperta, là, mentr'ella saliva pel cielo, la Luna, col suo ampio velo di luce, ignara dei monti, dei piani, delle valli che rischiarava, ignara di lui, che pure per lei non aveva più paura, né si sentiva più stanco, nella notte ora piena del suo stupore.

27 marzo 2016

E la Pasqua arrivò


Permettetemi di offrirvi una pagina tutta pasquale de La camera bella. Vi troverete desiderio di bellezza, e profumo di primavera.Buona lettura, e auguri di cuore! 

 


 
 E la Pasqua arrivò in una fresca mattina di inizio aprile. Tra pendii verdi e alberi in fiore la campagna assomigliava a una cartolina.

Camminando verso Frazione San Giovanni, Marta inspirava profondamente l’aria frizzante e abbracciava con sguardo insaziabile la bellezza intorno a sé. Alle sue spalle Cassanico riposava adagiata sulla collina, nelle prime ore del mattino.

“Buona Pasqua, carissimi!” pensò, indirizzando un augurio affettuoso e grato agli Ansaldi che in quel momento forse stavano ancora dormendo.

“Buona Pasqua, dolce Chiara! Che tu possa crescere serena e vivace, fiduciosa in te stessa, incontrando persone giuste e facendo scelte vere!”.

Marta camminava assaporando quell’ora così speciale. Passeggiare la tranquillizzava e le disponeva il cuore alla gioia.

“Buona Pasqua, piccola Ceci! Non farmi il broncio, se puoi, e divertiti con Pipetto su e giù per i prati come una capretta!”. […]

Arrivò in prossimità della borgata e costeggiò l’albicocco che ormai, perduti i fiori rosa, iniziava a produrre le prime minuscole foglioline.

“Ciao nonna, tu sei già dentro la Pasqua. Proteggi le nostre nipotine. E magari un po’ anche me!”.

23 marzo 2016

Cos'hanno di bello tutti costoro?


C'è una pagina che amo. La amo, perché è vera, è bella, è "mia".
Non è certo un brano poco noto; anzi, l’abbiamo letto tutti, chissà quante volte, dai tempi della scuola in poi.Eppure ancora oggi, quando mi capita di ripercorrerlo, io mi emoziono come la prima volta (anzi: molto di più).
Alessandro Manzoni, capitolo XXI de I promessi sposi.





Ed ecco, appunto sull'albeggiare, pochi momenti dopo che Lucia s'era addormentata, ecco che, stando così immoto a sedere, sentì arrivarsi all'orecchio come un'onda di suono non bene espresso, ma che pure aveva non so che d'allegro. Stette attento, e riconobbe uno scampanare a festa lontano; e dopo qualche momento, sentì anche l'eco del monte, che ogni tanto ripeteva languidamente il concento, e si confondeva con esso. Di lì a poco, sente un altro scampanìo più vicino, anche quello a festa; poi un altro. «Che allegria c'è? cos'hanno di bello tutti costoro?» Saltò fuori da quel covile di pruni; e vestitosi a mezzo, corse a aprire una finestra, e guardò. Le montagne eran mezze velate di nebbia; il cielo, piuttosto che nuvoloso, era tutto una nuvola cenerognola; ma, al chiarore che pure andava a poco a poco crescendo, si distingueva, nella strada in fondo alla valle, gente che passava, altra che usciva dalle case, e s'avviava, tutti dalla stessa parte, verso lo sbocco, a destra del castello, tutti col vestito delle feste, e con un'alacrità straordinaria.

«Che diavolo hanno costoro? che c'è d'allegro in questo maledetto paese? dove va tutta quella canaglia?» E data una voce a un bravo fidato che dormiva in una stanza accanto, gli domandò qual fosse la cagione di quel movimento. Quello, che ne sapeva quanto lui, rispose che anderebbe subito a informarsene. Il signore rimase appoggiato alla finestra, tutto intento al mobile spettacolo. Erano uomini, donne, fanciulli, a brigate, a coppie, soli; uno, raggiungendo chi gli era avanti, s'accompagnava con lui; un altro, uscendo di casa, s'univa col primo che rintoppasse; e andavano insieme, come amici a un viaggio convenuto. Gli atti indicavano manifestamente una fretta e una gioia comune; e quel rimbombo non accordato ma consentaneo delle varie campane, quali più, quali meno vicine, pareva, per dir così, la voce di que' gesti, e il supplimento delle parole che non potevano arrivar lassù. Guardava, guardava; e gli cresceva in cuore una più che curiosità di saper cosa mai potesse comunicare un trasporto uguale a tanta gente diversa.

20 marzo 2016

E l'albicocco fiorì


Anche in Val Favero - luogo immaginario in cui è ambientato il romanzo La camera bella - inizia la primavera. E proprio in quel giorno Cecilia festeggia il suo compleanno.

La ragazzina è circondata dai suoi amici, gioisce della campagna in fiore, è scoppiettante come sempre; eppure, in un angolino del cuore, alberga un’ombra. Cecilia ha fatto esperienza del dolore…



Le piccole gemme bordeaux dell’albicocco un mattino si dischiusero in piccoli fiori delicati, di un rosa chiaro e discreto. […] L’aria era frizzante e la brezza sottile recava ancora in sé i residui dei rigori invernali. Il cielo però era azzurro e il sole sfolgorava sulla campagna. Era uno di quei giorni in cui pareva impossibile essere tristi.

– È tutto così fantastico! Mi piace, mi piace, mi piace! – esclamò Cecilia scattando l’ennesima foto a un ramo fiorito. Aveva la pancia piena di torta e gli occhi pieni di bellezza.  […]

Cecilia si sedette ai piedi dell’albero, appoggiando la schiena al tronco. Rabbrividì leggermente alla fresca brezza primaverile e si strinse nella felpa nuova. Fece un respiro profondo, guardando davanti a sé. La sua espressione si fece improvvisamente seria.

– Non ha fatto in tempo – mormorò.

– Chi? A fare che?

– La nonna. Non ha fatto in tempo a vedere l’albicocco fiorito. Le piaceva tanto…

Valentina e Pipetto tacquero: non sapevano che cosa dire. Cecilia non riusciva a distogliere l’attenzione dalla casa della nonna, con le persiane chiuse e il comignolo senza vita. Sentiva un nodo doloroso stringerle la gola.

– Mi manca. Mi manca tanto.

Erano trascorse due settimane dal giorno del funerale e la ferita bruciava. Cecilia continuava a essere la ragazzina allegra e spensierata di sempre, ma ogni tanto le capitava di incupirsi, quando il dolore si risvegliava in lei e la mordeva. Bastava un ricordo o un momento di nostalgia e subito le si chiudeva la gola. Allora cercava un angolino appartato e piangeva un po’, perché aveva scoperto che spesso le lacrime la aiutavano a sciogliere il dolore.

Valentina si sedette accanto a lei, sull’erba tenera punteggiata di primule, e le circondò le spalle con un braccio. Cecilia chinò il capo sulla sua spalla e le due testoline si appoggiarono l’una all’altra. Rimasero così a lungo in silenzio e quasi non si accorsero di Pipetto che, aggirato l’albero, aveva cominciato ad arrampicarvisi. Il tronco non offriva molti appigli, ma il ragazzino aveva un fisico forte e non ebbe difficoltà a raggiungere la chioma. Era ben allenato a questo genere di imprese, fin dalla più tenera età.

Con circospezione, attento a non guastare nulla, spezzò alcuni dei rami più belli e li raccolse in una specie di mazzo; poi lentamente ridiscese.

– Se vuoi possiamo andare – disse a Cecilia.

– Dove?

– Da tua nonna. Glieli portiamo.

La ragazzina ebbe un sussulto di tenerezza. Pipetto aveva il potere di stupirla con il suo cuore grande.

– Non ci sono mai più stata al camposanto. Quando ho nostalgia della nonna preferisco venire qui in Frazione San Giovanni e guardare la sua casa e ripensare a quando c’era lei. Però sono sicura che i fiori di albicocco le piacerebbero molto.

– Se vuoi possiamo andare – ripeté Pipetto.

– Sì, andiamo.

19 marzo 2016

Ma la carezza alla sera me la dava soltanto lui

Visto che oggi è la festa del papà, perché non leggere una pagina tratta da El Pavarott di Luca Doninelli?  È la storia divertente (e a tratti commovente) del rapporto fra un dodicenne come tanti e un papà davvero speciale, che tutti chiamano Pavarotti.
Freschezza, autenticità, sete di autonomia e nostalgia di tenerezza: una vera "storia per crescere" (ma non pensate che faccia bene solo ai piccoli).









[…] Mi sembrava un papà diverso dagli altri. A quel tempo, Pavarotti cominciava già a essere parecchio famoso. Mio papà, lo chiamavano Pavarotti proprio perché gli somigliava.

[…] Quello che non sapevo è che mio papà non era molto stimato in giro, anzi non lo era per niente, e la ragione me la disse lui quando compii dodici anni. E anche se non me la raccontò giusta neanche quella volta, tuttavia devo dire che mentre parlava piangeva, e siccome io non l’avevo mai visto piangere, mi misi a ridere: così nel bel mezzo delle lacrime mi diede anche una sberla.

[…] Mio papà era sempre stato buono con me: se gli chiedevo i soldi per il gelato o per andare in piscina o al cinema lui me li dava, e la sera veniva quasi sempre a darmi la buona notte, a meno che non fosse via per lavoro. A volte stava via per mesi.Già, il lavoro! Ma che lavoro faceva?

[…] Mio padre faceva il contrabbandiere. Ogni tanto andava a Lugano e non lo si vedeva per qualche mese. Io credevo che fosse via per lavoro, invece gli capitava di andare in galera. Una volta (queste sono tutte cose che ho saputo solo molto tempo dopo) insieme con un altro tizio riuscì a procurarsi addirittura un piccolo sommergibile e con quello faceva la spola tra Lugano e Porto Ceresio portando sigarette e cioccolata e altre cose svizzere. Poi beccarono il suo amico e lui riuscì a farla franca. Ecco perché dico che i suoi discorsi sulla giustizia non valevano un fico secco.

Però lo amavo più di ogni altro al mondo, e se avessi potuto morire per lui l’avrei fatto immediatamente. In tanti mi volevano bene: il nonno, la zia Lisetta eccetera. E mi davano quello di cui avevo bisogno. Ma la carezza alla sera me la dava soltanto lui, quando credeva che dormissi. Entrava in camera piano piano, e io lo sentivo perché non dormivo mai: fingevo soltanto perché aspettavo quella carezza, che era come un segreto tra me e lui.

14 marzo 2016

Quale quadro ti rappresenta?


Oggi vorrei offrirvi una breve pagina tratta da La ragazza in bottiglia di Sara Allegrini. È un romanzo destinato a giovani e giovanissimi; racconta la storia di Valentina, una ragazza che dopo aver subito un grave lutto ha perso la forza e la voglia di andare avanti; vive in un mondo tutto suo fatto di arte e di ricordi. Ma nella sua vita compare Valerio…

 

 

- Prometti di non metterti a ridere?

Era il giorno dell’estetista e avevano tutta la solitaria pace di casa Notarianni.

- A volte faccio un gioco: associo a ogni persona un’opera d’arte.

Valerio la guardò incuriosito, mettendosi comodo sulla sedia. Valentina aprì uno dei suoi preziosi libroni.

- Questo, per esempio, sei tu.

Gli mostrò il dipinto di un giovane cacciatore dal viso bello e pensieroso.

- Vedi? Tu sei una persona allegra, eppure io percepisco in te una preoccupazione e una stanchezza. Come questo giovane uomo, che deve procurarsi il cibo per la sua famiglia che lo attende a casa.

Valerio rimase molto scosso da quella combinazione; si sentiva esattamente come Valentina aveva detto. Nessuno era mai riuscito a guardare dietro la sua allegria.

- E tu, quale quadro ti rappresenta?

Valentina esitò un istante; rivelarglielo avrebbe significato dire molto di sé. Eppure sapeva che Valerio non l’avrebbe giudicata, ma anzi perfettamente capita. Prese un altro volume e lo aprì titubante esattamente sul ritratto che cercava. Valerio sospettò che avesse passato intere giornate a fissarlo…

 

 

11 marzo 2016

Come riserve di grano

La scrittrice francese Marguerite Yourcenar fu un'autentica innamorata dei libri. A otto anni già leggeva Racine e Aristofane, per intenderci. Nelle vicende della sua vita, e nelle pagine delle sue opere, è ricorrente il tema del dolore. Ma per lei «i libri sono riserve di grano da ammassare pe rl'inverno dello spirito»...